Collegiata dei Santi Andrea e Bartolomeo
Il caso di S. Andrea ad Orvieto

Storia di una comunità

Storia e Arte a S. Andrea

L'esterno di S. Andrea

L'interno di S. Andrea

Nel corso dei secoli

Il caso di S. Andrea ad Orvieto

I sotterranei di S. Andrea

Demolizione della vecchia torre di S. Andrea, inizi del XX sec.

Lo studio della chiesa di S. Andrea, in quanto monumento storico ed artistico, è sostanzialmente legato alla lunga sequenza di interventi che si sono succeduti nel corso dei secoli, facendo di questo edifico una fabbrica la cui continua evoluzione non è sempre agevole da ricostruire.

L’intervento più evidente, sia perché temporalmente il più vicino a noi, sia per l’entità dell’impatto sull’edificio, è il restauro che ha avuto luogo negli anni 1926 – 1930 su progetto dell’ing. Gustavo Giovannoni.

L’obiettivo di descrivere in modo rigoroso la storia della nostra chiesa non può, quindi, prescindere da un approfondimento sull’intervento del Giovannoni. A tale scopo riportiamo il lavoro che la Prof.ssa Marina Docci (Facoltà di Architettura, Università di Roma “Sapienza”) ha svolto nel periodo 2003-2005 mediante una dettagliata indagine, con evidenze di archivio, sull’intervento di restauro di inizio ‘900.

Nella pubblicazione, la Prof.ssa Docci ricostruisce sia la storia del progetto che le dinamiche e le contraddizioni, anche teoriche, che lo hanno caratterizzato.

Non meno interessanti sono le note all’articolo che riportiamo in modo integrale.

Costruzione del porticato adiacente alla chiesa, inizi del XX sec.


Si riporta il testo integrale dell’articolo per gentile concessione della Prof.ssa Marina Docci.

Consolidamento, liberazione, completamento, innovazione:
il caso di S. Andrea ad Orvieto

Marina Docci
Marina Docci-Il caso di S. Andrea ad OrvietoTratto da:
GUSTAVO GIOVANNONI
RIFLESSIONI AGLI ALBORI DEL XXI SECOLO
a cura di Maria Piera Sette

giornata di studio dedicata a
GAETANO MIARELLI MARIANI (Roma, 26 giugno 2003)
2005 Bonsignori Editore

Il restauro condotto da Gustavo Giovannoni nella seconda metà degli anni Venti sulla chiesa e sul campanile di S. Andrea ad Orvieto, noto nei suoi esiti finali e grazie alla pubblicazione di alcuni disegni di progetto, è concordemente considerato fra le opere meno convincenti del Maestro (1). Certamente discutibile sotto diversi aspetti, merita tuttavia una maggiore attenzione se non altro per aver interessato uno dei più importanti e stratificati monumenti orvietani.
Le ragioni che spingono ad analizzare nuovamente questo intervento risiedono da un lato nella possibilità di chiarire meglio, grazie al carteggio privato conservato presso il Centro di Studi per la Storia dell’Architettura, il complesso iter progettuale che ha visto susseguirsi numerose e spesso non documentate varianti in corso d’opera (2). D’altra parte, le ‘informazioni’ che la documentazione archivistica è in grado di fornire rispetto alla fabbrica antica, soprattutto per quelle parti che, proprio a causa del restauro, risultano oggi perdute o non più verificabili potrebbero, in un prossimo futuro, facilitare lo studio di quello che da molti è stato definito come uno straordinario palinsesto architettonico. I lavori di restauro furono infatti occasione per intraprendere scavi archeologici che portarono alla scoperta, nel sottosuolo della chiesa, di diverse fasi di utilizzazione dell’area a partire dall’epoca Villanoviana, nonché di tracce murarie relative alla chiesa del VI secolo e di arredi e pavimentazioni fino al X secolo. Già dal Cinquecento infatti, era stata avanzata l’ipotesi che la chiesa fosse sorta sulle rovine di un Tempio dedicato a Giunone Herbana, situato nell’antico Foro Romano; consistenti tracce di epoca etrusca, romana e, quindi, della chiesa primitiva, furono tuttavia rinvenute solo durante i lavori degli anni Venti e rese fruibili grazie al nuovo solaio in cemento armato progettato da Giovannoni in accordo con Antonio Minto, soprintendente alle antichità dell’Etruria (3).
Ad oltre ottant’anni dalla scoperta tuttavia, si attende ancora uno studio approfondito ed una datazione definitiva delle strutture rinvenute (4) e non solo le fasi più antiche della fabbrica e delle strutture preesistenti non sono state sufficientemente valutate, ma la stessa chiesa medievale, pur essendo stata oggetto, anche recentemente, di interventi di restauro e consolidamento, manca di studi storico critici approfonditi (5).

Ricostruita, presumibilmente nel XII secolo, circa un metro e mezzo sopra la fabbrica precedente (forse risalente al VI secolo), accorpando anche la vicina chiesa di S. Bartolomeo, fu trasformata più volte: alla fine del XIII secolo, con la costruzione di un doppio transetto su pilastri polistili e volte ogivali, che doveva, secondo alcuni, preludere alla completa trasformazione della chiesa e poi, ancora, tra il 1511 ed il 1515, quando l’intera navata centrale fu sollevata e ricostruiti i capitelli, le arcate soprastanti e la copertura. Nel 1826, in seguito al crollo di uno dei pilastri del transetto, la chiesa rischiò di essere demolita e ricostruita dalle fondamenta ma problemi prevalentemente economici impedirono la realizzazione del progetto di trasformazione (6). Al XII o addirittura all’XI secolo risale anche il campanile, che tuttavia venne probabilmente terminato nel XIII secolo e quindi trasformato, con l’aggiunta di una scala a chiocciola interna e la ricostruzione della parte sommitale, fra la fine del XVI e il XVII secolo (7).
Rispetto a questo sintetico quadro storico molti dubbi rimangono circa il susseguirsi dei diversi interventi ed in particolare sui rapporti fra le strutture rinvenute nel sottosuolo e la chiesa superiore, nonché sulla presunta fusione con la piccola chiesa di S. Bartolomeo; si dovrebbe quindi ripartire da un’analisi diretta della fabbrica e da un rilievo metrico approfondito ed in quest’opera di ‘ricostruzione’, una parte non indifferente potrebbero svolgere proprio i documenti redatti in occasione del restauro giovannoniano. Significativo in questo senso appare il rinvenimento, durante la demolizione della facciata seicentesca (fig. 1), di una nicchia semicircolare che presentava tracce di un affresco, allora frettolosamente attribuito a Luca Signorelli. Se si escludono alcune foto rinvenute nel carteggio di Giovannoni (fig. 2), non esistono molte altre testimonianze in merito. La nicchia era forse preesistente alla sistemazione del portale che sappiamo essere opera realizzata da Maestro Vito da Siena negli ultimi decenni del XV secolo (8). Si trovava quasi nella stessa posizione dell’attuale finestra cieca che forse, ma è solo un’ipotesi, non fu mai aperta proprio per non distruggere del tutto le tracce della lunetta. Viceversa fu probabilmente l’esiguità dei resti rinvenuti a non far considerare l’opportunità di un suo ripristino (9).
Per ciò che concerne più direttamente l’intervento di restauro, l’analisi del carteggio conservato presso il Centro di Studi e della documentazione proveniente da altri archivi, ha permesso di datare quasi tutti i disegni di analisi e di progetto finora reperiti e genericamente attribuiti agli anni 1926-1930 (10). E’ stato quindi possibile rileggere, nelle diverse varianti del progetto conservate, le vicissitudini della progettazione che appare piena di contrasti con gli organi di controllo statale e con alcuni storici locali, ma anche di modifiche e ripensamenti dovuti alle nuove scoperte realizzate in corso d’opera. Il primo progetto di Giovannoni risale in realtà al giugno del 1919, sollecitato dal vivo interesse del priore, don Vincenzo Fumi, che fin dai primi anni del secolo aveva intrapreso piccoli restauri e scavi per riportare alla luce le parti più antiche della collegiata e che, come vedremo, svolgerà un ruolo tutt’altro che secondario nella definizione del progetto stesso (11).
Un preventivo viene redatto già nel 1921, ma i lavori di demolizione della parte superiore del campanile inizieranno solo nel marzo del 1926. Dal carteggio si evince che le motivazioni del ritardo, oltre che di natura economica, sono da ricercarsi anche in un forte contrasto fra il soprintendente Umberto Gnoli e Giovannoni, mai reso esplicito dai due protagonisti, eppure piuttosto marcato, tale da portare a continui rimandi dei lavori e modifiche del progetto già presentato al pubblico (12). E’ il campanile a fare le spese di questi contrasti e, soprattutto, delle scoperte realizzate durante le demolizioni. Questo, da una prima ipotesi che prevedeva un solo giro di bifore – l’unico noto al momento del progetto – soprastato da uno di monofore e concluso, «dopo un ulteriore sviluppo verticale, […] con 12 pilastri angolari, non merli isolati […] ma elementi di sostegno di un tetto piramidale di coronamento» (13) pian piano giunge, attraverso ‘aggiustamenti’ successivi, alla soluzione finale a tre ordini di bifore e merlatura terminale.
Fin dal 1925 la Soprintendenza aveva cercato di ridurre l’altezza complessiva del campanile modificando anche le proporzioni fra le diverse parti. Dalla documentazione emerge tuttavia un raffinato lavoro di controllo e indirizzo compiuto da Giovannoni, costantemente informato dal priore sul procedere dei lavori. Interessante in questo senso uno scambio epistolare che dà conto di una fase intermedia del progetto. Il 21 di agosto del 1926 Giovannoni viene informato dal Soprintendente del ritrovamento di «due tronconi di pilastrini dell’ordine di monofore, sovrastante alle bifore, non che buon tratto dell’autentico piano di posa dei suddetti pilastrini, ovvero di davanzale delle monofore» (14). Nella relazione e nello schizzo che a questa doveva essere allegato sono riportate numerose misure del campanile di S. Andrea confrontate con quelle della badia il cui scopo dichiarato è di giustificare una significativa riduzione di altezza rispetto al progetto giovannoniano. In uno schizzo prospettico è inoltre rappresentato il progetto detta Soprintendenza, che include anche l’isolamento del campanile attraverso la demolizione di una parte del palazzo comunale opera di Ippolito Scalza ma sul quale «l’Istituto scrivente non entra in merito» (15) (fig. 3). Pochi giorni dopo il priore don Fumi informa il professore come nonostante i diversi tentativi di nascondere i fatti, risulti ormai evidente la presenza di un secondo ordine di bifore in luogo delle monofore (16). Del suggerimento del priore di «arrestare la fretta non del tutto lodevole di costruire su a tutti i costi senza un programma ben determinato e studiare un po’ seriamente il monumento, che senza dubbio ormai si stacca dal tipo della Badia, e va acquistando un’importanza maggiore e una figura tutta sua» (17) fa tesoro Giovannoni che non a caso replica alla relazione di Gnoli il giorno dopo aver ricevuto queste notizie. La risposta appare come un capolavoro di diplomazia. Nella prima parte infatti Giovannoni non parla mai di monofore o bifore ma solo di finestre o aperture soprastanti il primo giro di bifore e pur lodando il lavoro compiuto fino ad allora si ricollega proprio alle misure fornite da Gnoli sui due campanili per ribadire come per quanto riguarda «tutta la parte superiore distrutta, […] i confronti con le dimensioni e coi rapporti del campanile della Badia possano farsi con una certa libera larghezza d’interpretazione» (18). Solo in un post scriptum che appare a ragion veduta piuttosto sospetto, Giovannoni accenna alla lettera di don Fumi: «Risulterebbe dunque che il secondo giro di finestre non era di monofore ma di bifore. E’ vero?». Da una parte quindi il progetto iniziale dovrà essere modificato perché‚ «il monumento, che ne sa più di tutti noi, ha parlato ed è superfluo dire che non c’è altro da fare che seguire ciò che egli dice» dall’altra però, l’altezza complessiva della torre rimane quella indicata fin dal 1919, infatti, «Nulla di male […] se la sopraelevazione, necessariamente arbitraria, risponderà un poco ad un altro criterio estetico di ambiente, e si eleverà presso a poco all’altezza che avevamo fissato nella nostra visita ad Orvieto. Chi ha mai visto due monumenti medievali perfettamente uguali?». Di questo progetto che potremmo definire intermedio e che prevede la realizzazione di due ordini di bifore sovrastati da uno di monofore, in ciò seguendo anche i suggerimenti forniti da alcune immagini cinquecentesche, rimane testimonianza solo in uno schizzo che Giovannoni traccia a matita sul retro della relazione inviatagli da Gnoli (fig 5). Poco dopo infatti, il rinvenimento di numerosi pulvini riutilizzati all’interno delle murature, porterà il priore don Fumi e con lui Giovannoni, a «supporre ormai che gli ordini delle bifore fossero tre, forse con esclusione delle monofore» (19). Inoltre il ritrovamento di due pulvini «di differenti dimensioni e differente materiale (travertino) e anche una colonnina parimenti di travertino di dimensioni anch’esse più piccole» (20) farà dapprima ipotizzare e quindi ricostruire tre bifore in luogo delle tre monofore che apparivano dal lato verso la piazza, nella parte bassa del campanile.
Nel frattempo la copertura a tetto del campanile scompare da tutti i disegni sostituita da un castello per le campane che, iniziato a costruire nel 1929, verrà rimosso poco tempo dopo (fig. 6) (21).

Il disegno della nuova facciata presenta vicissitudini meno travagliate e a parte una primissima ipotesi, subito accantonata, di utilizzare il motivo dell’oculo anche per illuminare la navata laterale sinistra, rimane sostanzialmente quello proposto nel 1919 (22). Un certo tentennamento si osserva tuttavia nella soluzione da dare al rosone centrale che nel primo progetto appare privo di raggi, presenti invece in tutti i disegni successivi. Nella realizzazione si tornerà all’ipotesi iniziale, con un evidente richiamo al rosone della basilica di S. Scolastica, pubblicato da Giovannoni nel noto volume del 1904. Un’ulteriore modifica rispetto al progetto iniziale è quella che vede l’innalzamento della navata centrale di circa settanta centimetri per rimettere completamente in vista il grande arco ogivale di passaggio al transetto, riportando così «l’interno alle sue originarie proporzioni» (23). Si tratta di una modifica attuata in corso d’opera che non trova riscontro in nessuno dei disegni della facciata ma emerge invece chiaramente dal confronto fra questi e l’opera realizzata.Il progetto è completato con la demolizione delle «meschine botteghe» che si addossavano al fianco della chiesa «per sostituirvi un portico ad arcate che libera la parete e chiude la linea dell’insieme» (24). Su questo progetto, peraltro piuttosto noto, non è qui il caso di insistere, se non per accennare al fatto che pure in questa occasione le proposte e le varianti ipotizzate furono diverse. Viceversa meno conosciuta mi sembra la sistemazione della parete esterna del transetto, verso la piazza. Nei progetti iniziali, come pure nelle foto realizzate poco dopo l’inaugurazione da parte del Re, il 25 novembre del 1928, questa appare nella sua nuda cortina originaria. Viceversa, nella versione del progetto che è possibile datare al 1927 si osserva un rivestimento della parete a blocchetti, presumibilmente di tufo ed una serie di monofore con transenne che seguono le falde del tetto (25). In un periodo imprecisabile, ma comunque dopo il 1929, il rivestimento della parete sarà effettivamente realizzato, ma seguendo un disegno completamente diverso, del quale rimane testimonianza su una delle tante copie del progetto presentato nel 1927 che Giovannoni evidentemente riutilizza per elaborare la nuova idea (fig. 4) (26).Come è stato giustamente osservato le ragioni di questo intervento che l’autore stesso definisce «in parte di liberazione, in parte di aggiunta necessaria, guidata dai criteri della forma semplice e della sicura distinzione (mediante il diverso materiale e mediante le epigrafi di documentazione) del nuovo dall’antico» (27), più che nelle cattive condizioni di conservazione, che pure sono attestate per la parte alta del campanile, devono essere ricercate altrove. In effetti, scorrendo la relazione che accompagna il primo progetto ci si rende conto che è dal giudizio drasticamente negativo ma pure largamente condiviso che si origina la proposta di demolizione e ricostruzione della facciata e della parte alta del campanile e ciò in perfetto accordo, mi sembra, con alcune delle affermazioni espresse durante il I Convegno degli Ispettori Onorari, che precede di soli sei anni questo progetto. Nella relazione si legge infatti: «Ora se vi è un caso in cui le costruzioni aggiunte in tempo relativamente recente non meritano davvero il minimo rispetto è proprio quello del S. Andrea. La parte seicentesca, grottescamente gotica, della facciata tricuspidale. La galleria superiore e la cupoletta del campanile, le basse botteghe schierate su Corso Cavour, non solo non hanno il benché minimo elemento d’Arte, ma nei riguardi del monumento rappresentano una triste orrenda alterazione del concetto originario, ed in quelli estrinseci dell’edilizia cittadina rendono sgradevole e indecoroso quello che dovrebbe essere il maggior centro del movimento e della vita urbana […]». Di qui la scelta di realizzare una «nuova facciata per la chiesa» perché «una facciata vera non c’è stata, […] mai in passato, ma solo inizi di facciata eseguiti in tempi molto tardi» e di progettare il «ripristino pel campanile» che fino alla quota del primo giro di bifore «risulterà sistemato in modo autentico» mentre per la parte superiore imitando il campanile dell’abbadia «lo sarà in modo semiautentico» (28).

Il giudizio è inappellabile e certamente oggi non condivisibile, anche singolare, se si vuole, per quella distinzione fra autentico e semi-autentico che da un lato si richiama al cosiddetto restauro storico, laddove autentico non è solo ciò che esiste ma anche ciò che può essere ragionevolmente riprodotto sulla base di documenti certi, mentre dall’altro avalla, in sostanza, il completamento secondo criteri analogici. Tuttavia «qui siamo evidentemente in pieno campo di interpretazione relativa, al di fuori di teorie generali e di norme fisse ed uniche» (29) e d’altra parte non si può dire che il restauratore sia stato lasciato solo nella valutazione; laddove invece appare diffusamente condiviso il giudizio sul campanile «tozzo, goffo, nella sua sovrabbondanza ornamentale barocca quasi ridicolo» e sulla facciata «camuffata da una maschera di stucco che protendeva colle sue tre cuspidi ad uno stile gotico, ben lontano da ogni sentimento d’arte e di stile» (30), come pure il plauso dei cittadini che «sollecitano ansiosi, e con vivo entusiasmo, il ripristino della elegante torre dodecagonale […] avendo già giudicato con simpatia e di molto buon gusto il disegno esposto al pubblico» (31).

Rimane il giudizio, sostanzialmente negativo, sul risultato finale che, tuttavia, deve necessariamente fare i conti con quel concetto di «nuda semplicità e rispondenza allo schema costruttivo» così tenacemente perseguito dall’autore e particolarmente evidente anche nelle diverse soluzioni, «senza speciale carattere» (32), che egli studia per il coronamento della facciata (fig. 7). Nessuna delle ipotesi schizzate verrà poi realizzata (figg. 8-9), tuttavia è interessante notare come il ‘problema’ dei contrafforti poligonali angolari sia da lui sentito come un nodo architettonico di non facile soluzione; nella relazione del 1919 scrive infatti: «i pilastri poligonali addossati al prospetto sembrano supporre un coronamento ad edicole o a guglie; […] Ma ora l’andare appresso a questi speciali elementi di architettura o di decorazione, lungi dal portare autenticità al restauro, aumenterebbe l’arbitrio nella espressione specifica, nella ricerca di particolari forme che non hanno mai esistito, nella accentuazione di un carattere stilistico troppo particolare, troppo individuale, troppo adorno, in opposizione con l’ambiente, in disarmonia con l’aspetto della torre prossima: […]. La formula quindi da seguire, qui forse più che altrove […] è quella della semplicità costruttiva ed artistica. La semplicità organica non appartiene a nessun stile, ma li traversa tutti: può quindi accordarsi con la torre duecentesca, col palazzo barocco, colle nude pareti del fianco della chiesa, col portale stesso quattrocentesco […]» (33). Sono quasi le stesse parole che userà, solo dieci anni dopo, in Questioni di Architettura, eppure la soluzione appare, ai nostri occhi, difficile da catalogare come semplicemente ‘costruttiva’.

(1)Il sostanziale divario fra la produzione teorica di Giovannoni e i suoi interventi sugli edifici, genericamente attardati su posizioni di stampo ottocentesco, Šè stato più— volte messo in luce; si veda in particolare il contributo di A. DEL BUFALO, Gustavo Giovannoni. Note e osservazioni integrate alla consultazione dell’archivio presso il Centro di Studi di Storia dell’ Architettura, Roma 1982, pp. 197-198 e, da ultimo il saggio di Claudio Varagnoli in questo stesso volume.

(2) Nell’archivio del Centro di Studi per La Storia dell’Architettura (CSSAr), oltre a numerose varianti del progetto e ad alcuni schizzi prospettici dello stato di fatto e di progetto (CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. 2, 95/1-15 e 1 foto; cfr. M. CENTOFANTI – G. CIFANI – A. DEL BUFALO, Catalogo dei disegni di Gustavo Giovannoni…, Roma 1985, scheda 95, pp. 176-177; CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. 5, 39; cfr. G. SIMONCINI ET AL. (a cura di), Catalogo generale dei disegni di architettura 1890-1947, Roma 2002, p. 43, nn, 64,65) si conserva anche una cartella non inventariata contenente il carteggio privato relativo al restauro (CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto). Al suo interno si trova la prima relazione di restauro: Note di storia e di arte sulla chiesa di S. Andrea. Proposte dell’architetto Comm. Gustavo Giovannoni (Giugno 1919) (ibidem, doc. 7), la corrispondenza diretta al maestro e numerose foto che testimoniano le diverse fasi dei lavori. Una ricca documentazione, spesso complementare alla precedente, èŠ conservata anche all’archivio della Soprintendenza per i Beni Ambientali Architettonici Artistici e Storici dell’Umbria (SBAAASU), si veda da ultimo MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, Orvieto. Interventi per il consolidamento ed il restauro delle strutture di interesse monumentale e archeologico, 2, Cinisello Balsamo 1996, pp. 21-46. Nell’Archivio di Stato di Terni-sezione di Orvieto (AST-sO) sono conservati diversi documenti riguardanti sia gli scavi, Archivio Corrado Paoloni, che la chiesa ed il suo restauro, Archivio Pericle Perali. Infine all’Archivio Centrale dello Stato (ACS) si conservano due fascicoli contenenti poche notizie sui restauri. Di un certo interesse solo la presenza di una lettera di Giovannoni che attesta la sua consulenza per la realizzazione, nel 1934, di un altare dedicato alla Madonna di Lourdes da collocarsi nel transetto della chiesa (ACS, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e Belle Arti, Div. II, 1934-1940, b. 331 [Terni], f. Orvieto – Chiesa di S. Andrea Torre Comunale, lettera datata 23 gennaio 1934, f.ta G. Giovannoni).

(3) La realizzazione del solaio è stata considerata, forse non a torto, l’opera più— interessante condotta da Giovannoni nella chiesa. Di questo intervento si conserva, tra l’altro, una relazione dell’impresa per costruzioni ing. Giuseppe Depanis, datata Roma 22 settembre 1928 con una pianta delle strutture (CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, doc. 64) e diverse foto scattate durante la costruzione, tutte con timbro «Orvieto, ottobre 1928» (ibidem, foto 26-31)

(4) Alcune piante dello scavo realizzato nel 1927-1928 si conservano in CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. 2, 95/1; in SBAAASU (cfr. MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, Orvieto, cit. in part. p. 24); in AST-sO, Corrado Paoloni, b. 6, f. 70bis. In un articolo relativo al restauro fu pubblicata una foto del pavimento a mosaico rinvenuto nel 1927 (R. PAOLI, I restauri della chiesa di S. Andrea in Orvieto, in “Arte Cristiana”, XVII, 1, 1929. pp. 2-7, foto a p. 3), mentre diverse immagini delle strutture etrusche e paleocristiane furono pubblicate da E. ROSATELLI, La Insigne Collegiata dei SS. Bartolomeo e Andrea in Orvieto, in “Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria”, LX, 1963, pp. 5-38. Nel 1968-1970 furono eseguite nuove indagini archeologiche sotto la guida di Michelangelo Cagiano de Azevedo che tuttavia non sono state che parzialmente pubblicate in “La parola del passato”, CXLV, 1972, p. 239 ss. Si veda a questo proposito: B. E. KLAKOWIC, Topografia e Storia delle Ricerche Archeologiche in Orvieto e nel suo Contado, Roma 1972-1978, vol. III, in part. p. 151 ss.; Id., Orvieto Antica: Verità e Invenzioni sulle Indagini e sui Problemi, in “Bollettino dell’Istituto Storico Artistico Orvietano”, XXXII, 1976 (1979), pp 3-56.

(5) Uno dei primi studi, di carattere prevalentemente storico, risale al 1920: W. VALENTINI, La insigne collegiata dei SS. Bartolomeo e Andrea di Orvieto. Documenti e note, Orvieto 1920. Probabilmente di questo saggio Giovannoni vide sia il manoscritto in corso di pubblicazione sia quanto già pubblicato in “Il Comune”, aprile-ottobre 1916, ed a questo attinse per la sua relazione del 1919 (CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, Note di storia e di arte, cit.). Dopo i brevi articoli del 1929, tutti relativi al restauro in corso di completamento (R. PAOLI, I restauri della chiesa di S. Andrea, cit.; P. PERALI, A proposito del restauro della chiesa di S. Andrea in Orvieto, in “Arte Cristiana”, XVII, 4, 1929, pp. 123-127; G. GIOVANNONI, Cronaca dei monumenti. Orvieto, in “Architettura e Arti Decorative”, VIII, fasc. X (giugno), 1929, pp. 472-476), nel 1969 uscì l’ultimo saggio (anch’esso privo di rilievi) sulle vicende storiche della chiesa che tuttavia attinge a piene mani, senza mai citarlo esplicitamente, al testo di Valentini (E. ROSATELLI, La insigne Collegiata, cit). A parte brevi cenni su diverse guide locali (si veda fra tutte A. SATOLLI, Orvieto. Nuova guida illustrata, Città di Castello 1999, pp. 84-85), il testo pi—ù recente sulla chiesa Šè il frutto della campagna di restauri avviata dalla Soprintendenza a partire dal 1993. Questi hanno riguardato la struttura lignea del tetto, già ricostruito da Giovannoni, il consolidamento degli intonaci, in particolare di quelli realizzati nel 1926 ed il consolidamento della volta della sagrestia, oltre al restauro di numerose opere d’arte (cfr. MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, Orvieto, cit., pp. 28-38).

(6) Il progetto di ricostruzione fu presentato dall’ing. Vincenzo Federici; cfr. W. VALENTINI, La insigne collegiata, cit., pp. 97-112; MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, Orvieto, cit., p. 22.

(7) W. VALENTINI, La insigne collegiata, cit., pp. 148-213.

(8) La costruzione della facciata nella parte corrispondente alla navata centrale e fino all’altezza del portale, nella cui lunetta dovevano essere collocate delle sculture in terracotta, risulta da un ‘istrumento’ del 13 febbraio 1487 (ibidem, pp. 121-122). I due fianchi del prospetto e la terminazione tricuspidata, sul modello del duomo, sembra invece risalire alla prima metà del XVII secolo, dopo la demolizione di alcune botteghe addossate alla chiesa dal lato della navata laterale sinistra (ibidem, pp. 133-134). Lo stesso Giovannoni ricorda l’accenno, nel documento del 1487, ad «un certo arcone decorato all’interno ed all’esterno» (CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, Note di storia e di arte, cit., p. 13).

(9) Oltre alle foto scattate poco dopo il rinvenimento, esiste anche una cartolina nella quale è indicata sommariamente, con un rapido segno a china, la posizione della lunetta nell’ambito della facciata seicentesca. Le foto dovevano essere allegate ad una lettera inviata a Giovannoni, in data 25 novembre 1927, dal priore don Fumi. Entrambe si conservano in CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto. doc. 54 e foto 20-22. Anche la cartolina si trova in ibidem, foto 23. A parte questi documenti non esistono altre informazioni in merito e la ricostruzione della facciata procederà sostanzialmente senza modifiche, almeno in questa zona, rispetto al progetto del 1919. Tuttavia, in risposta ad una nota polemica sulla sua distruzione, apparsa nell’articolo di Perali del 1929 (P. PERALI, A proposito del restauro, cit., p. 125) il podestà di Orvieto così giustificherà l’operato: «La nicchia sulla facciata, […] sarebbe stata sicuramente mantenuta se il bell’affresco Signorelliano che vi si èŠ rinvenuto non fosse stato ridotto in un tale stato da non potersi pensare di lasciarlo all’aperto, e soprattutto se non vi si fossero opposte quelle medesime ragioni statiche che già da secoli avevano consigliato la chiusura della nicchia stessa.» (CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, lettera inviata dal podestà al direttore della rivista “Arte Cristiana”, datata 28 agosto 1929, doc. 71). E’ possibile che l’affresco sia stato staccato per essere conservato altrove ma nulla si evince di ciò nella documentazione conservata presso il Centro di Studi.

(10) La datazione dei disegni è stata possibile nonostante o forse anche grazie all’abitudine di Giovannoni di ipotizzare nuove soluzioni a partire dalla copia di uno stesso originale, modificando di volta in volta solo le parti interessate e tralasciando le altre, così che, nello stesso disegno, convivono spesso soluzioni ormai superate insieme ad altre cronologicamente posteriori. Limitatamente ad alcuni disegni inclusi nel Catalogo dei disegni di Gustavo Giovannoni posso sinteticamente dire che lo schizzo contrassegnato con il numero 2 risale al 1918-1919: le prospettive, la pianta ed il prospetto (rispettivamente c. 2.95/3/4/6 furono probabilmente presentati con la prima proposta del 1919, mentre la bifora (c. 2, 95/5) era certamente parte integrante di questa, da cui venne staccata a p. 9 (CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto. Note di storia e di arte, cit.). Il prospetto (c. 2. 95/8) mostra una variante relativa alla parete del transetto successiva al 1929-1930; il prospetto ed il fianco (catalogati come c. 2, 95/9 e 12) sono invece da riconoscersi nei disegni inviati da Giovannoni nel 1927 per essere esposti in pubblico. Il prospetto (c. 2, 95/10) rappresenta lo stesso progetto del numero 9, forse in una fase di studio realizzata su una copia relativa al primo progetto (il campanile presenta ancora la soluzione del 1919). Infine il prospetto della torre campanaria (c. 2, 95/11) non è probabilmente da attribuire a Giovannoni, bensì alla Soprintendenza che lo invia al professore per chiarimenti, nella fase in cui ancora si pensa a due soli giri di bifore. Esso è a mio avviso da mettere in relazione con il documento conservato in CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, doc. 38, di cui si parlerà in seguito (vedi sotto nota 14).

(11) Di poco precedente la relazione del 1919 (CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, Note di storia e di arte, cit.), deve essere uno schizzo prospettico che prevedeva la realizzazione di un oculo anche in corrispondenza della navata laterale sinistra. A questa primissima ipotesi, subito abbandonata, si riferisce anche una lettera inviata da Perali a Giovannoni il 27 aprile del 1919 (CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, doc. 11).

(12) Sono numerose le lettere che accennano a questi contrasti e non è un caso quindi, se solo dopo l’ottobre del 1927 – quando Gnoli prenderà un’aspettativa preludio delle dimissioni e verrà sostituito da Achille Bertini Calosso – i lavori procederanno con estrema rapidità.

(13) CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, Note di storia e di arte, cit. p. 10; una esatta visione del progetto del 1919 doveva aversi nei disegni allegati in origine alla relazione che tuttavia, come accennato, è possibile identificare con alcuni di quelli conservati presso il Centro di Studi (vedi sopra nota 10). Le due vedute prospettiche prima e dopo l’intervento sono state pubblicate da A. DEL BUFALO, Gustavo Giovannoni, cit., figg. 231-232; mentre il prospetto Si trova in M. P. SETTE, Il restauro in architettura. Quadro storico, Milano 2001, p. 129.

(14) CSSAr, Fondo G. Giovannoni, C. Orvieto, doc. 38. La relazione, inviata dal soprintendente Gnoli a Giovannoni era accompagnata da quattro allegati, tre dei quali conservati separatamente all’interno della stessa cartella (ibidem, foto 12-14) ed il quarto da identificarsi, quasi certamente, con uno schizzo del campanile custodito fra i disegni di progetto (ibidem, c. 2, 95/11); lo schizzo è stato pubblicato da A. DEL BUFALO, Gustavo Giovannoni, cit. fig. 234. Si può ipotizzare che il disegno sia stato realizzato per la prima volta dalla Soprintendenza stessa. Quindi, come si evince anche dalla relazione, durante un sopralluogo, avvenuto nel luglio del 1926, Giovannoni avrebbe indicato a matita l’altezza delle monofore e quella complessiva della torre, entrambe notevolmente più alte rispetto al disegno a china. In seguito ai ritrovamenti dell’agosto, sullo stesso disegno furono disegnate, con una china rossa, le bifore e le supposte monofore e venne ulteriormente abbassata la merlatura finale rispetto alla prima ipotesi. Questo disegno, con tutte le modifiche, fu quindi inviato a Giovannoni per l’approvazione finale (ibidem, c. Orvieto. doc. 38).

(15) Ibidem; da notare che questo ‘progetto’ viene laconicamente accantonato da Giovannoni che risponde di esser certo che il palazzo rimarrà al suo posto «malgrado tutti i pupazzetti indicanti l’isolamento».

(16) «Gli avanzi di finestre, ritrovate entro il muro, aderente al palazzo comunale, erano stati, dai soliti interessati, giudicati indiscutibilmente come ruderi di monofore. Avendo per• tali finestre la stessa larghezza delle bifore e lo stesso anello interno ed esterno io affacciavo l’ipotesi che anche esse fossero bifore. Tale ipotesi, naturalmente scartata dai Dirigenti, ieri ha avuto la sua piena ed inoppugnabile conferma nel rinvenimento della parte superiore di dette finestre, consistente negli archetti di eguale apertura e di eguale sviluppo ed altezza di quella del primo  ordine» (ibidem, lettera di don Vincenzo Fumi a Giovannoni datata 1 settembre 1926, doc. 4O).

(17) Ibidem.

(18) La lettera, datata 2 settembre 1926 e indirizzata a Gnoli, è conservata presso l’archivio della SBAAASU. Una copia di questa mi era stata generosamente offerta, insieme ad altri documenti, dal prof. Gaetano Miarelli Mariani che ricordo con affetto e infinita gratitudine.

(19) CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, lettera di don Vincenzo Fumi datata 31 gennaio 1927, doc. 47. In una lettera di due giorni prima lo stesso priore si domandava: «Allo stato presente il progetto, secondo le indicazioni dateci dalla torre stessa, prevede due ordini di bifore. Se non che nello scortecciamento della torre stessa si è ritrovato che quelle pietre che formavano angolo del vecchio risarcimento non sono altro che pulvini delle antiche bifore rimasti in opera. Due ordini di bifore riecheggiano 24 pulvini; ora con quelli già messi a posto nelle bifore costruite ne abbiamo 27 e molti altri verranno fuori nella successiva demolizione. Vi sono anche di travertino bianco e di diverse dimensioni. E allora?» (ibidem, lettera di don Vincenzo Fumi datata 29 gennaio 1927, doc. 46).

(20) Ibidem, lettera di don Vincenzo Fumi datata 31 gennaio 1927, doc. 47. Alla lettera è allegato uno schizzo a china con annotate le misure della colonnina rinvenuta e un’ipotesi ricostruttiva della bifora tamponata, ridotta a monofora; ipotesi supportata «dal fatto che attualmente la piccola monofora si trova tutta spostata a sinistra (sic! destra) del lato della torre».

(21) Secondo Perali il modello in legno del castello, da realizzare poi in ferro, venne rimosso, per ordine del ministro Fedele. Di questo fatto non ho trovato documentazione, mentre numerosi sono i documenti che parlano e mostrano il progetto della struttura.

(22) Vedi sopra nota 11.

(23) G. GIOVANNONI, Cronaca dei monumenti, cit., p. 473.

(24) Ibidem.

(25) CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. 2, 95/9. Si veda anche quanto detto nella nota 10 a proposito del disegno c. 2, 95/10.

(26) Ibidem, c. 2, 95/8.

(27) G. GIOVANNONI, Cronaca dei monumenti, cit., p. 473. Oltre all epigrafe incisa direttamente sulla facciata, sotto il rosone («INSTAURATA AD MCMXXVIII A VII»), nell’angolo del nuovo portico fu posto un fascio littorio come «suggello di un’autenticazione cronologica», successivamente rimosso.

(28) CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, Note di storia e di arte, cit., pp. 10-12.

(29) G. GIOVANNONI, Restauri di monumenti, Conferenza al I Convegno degli ispettori Onorari dei Monumenti e Scavi, in “Bollettino d’Arte”, 1913, p. 25.

(30) R. PAOLI, I restauri della chiesa, cit., p. 2. A questo articolo replicherà, con toni piuttosto astiosi, lo storico Pericle Perali. Il suo pamphlet tuttavia, oltre a creare subito indignazione e repliche scritte da parte di tutti coloro che si sentiranno anche indirettamente chiamati in causa, appare come uno sfogo personale, dovuto forse a gelosie e invidie. Lo stesso Perali aveva infatti espresso un vivace apprezzamento per il progetto in una lettera personale inviata a Giovannoni il 27 aprile 1919 (CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, doc. 11). Tra le tante lettere di protesta inviate al direttore della rivista “Arte Cristiana”, mons. Giuseppe Polvara, conservate nel carteggio, si può segnalare quella del podestà di Orvieto, avv. De Benedittis che ribadisce come «L’Amministrazione Comunale di Orvieto, ha, con i suoi larghi contributi, resa possibile questa grandiosa opera di restauro, e non rimpiange davvero i sacrifici fatti. Confortata dal parere concorde di studiosi e di artisti, italiani e stranieri, ritiene che la rinnovata Chiesa di S. Andrea accresce decoro alla città […]» (CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, lettera datata 28 agosto 1929, doc. 71).

(31) Il testo è tratto da un articolo pubblicato su un quotidiano conservato nel carteggio privato dal titolo In tema di restauri. La torre di S. Andrea di Orvieto, Orvieto 4 luglio (CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, doc. 8). Il ritaglio di giornale non mostra né la testata del quotidiano né la data, tuttavia si tratta certamente del 1926, data di inizio dei lavori di demolizione del campanile.

(32) CSSAr, Fondo G. Giovannoni, c. Orvieto, Note di storia e di arte, cit., p. 14.

(33) Ibidem, pp. 12-13.