Collegiata dei Santi Andrea e Bartolomeo
I sotterranei di S. Andrea

Storia di una comunità

Storia e Arte a S. Andrea

L'esterno di S. Andrea

L'interno di S. Andrea

Nel corso dei secoli

Il caso di S. Andrea ad Orvieto

I sotterranei di S. Andrea

La Collegiata dei Santi Andrea e Bartolomeo in Orvieto ospita, nel podio della propria struttura, ambienti sotterranei ricchi di testimonianze archeologiche relative alle complesse vicende urbanistiche della città.

I reperti e le strutture conservate illustrano quattro fasi evolutive ben distinte.
La più antica, Bronzo finale – prima età del Ferro (ancora poco nota in città), è testimoniata da reperti rinvenuti nel corso delle ultime indagini, diffusi in notevole quantità ed estensione su tutta l’area archeologica; si tratta di ceramica da fuoco, fornelli, contenitori per liquidi, strumenti in bronzo per usi legati ad una cultura domestica, tale da far presupporre la presenza sull’acropoli orvietana di un primo villaggio di modesta entità.

La successiva fase culturale, ascrivibile al periodo Etrusco (VII – III sec. a.C.) relativo all’antica Velzna, la città stato federale della Dodecapoli etrusca, capitale cultuale d’Etruria e centro oracolare per eccellenza, è, invece, ben nota grazie alle numerose strutture presenti. Nel settore centrale dell’area, è visibile un tracciato stradale in blocchi di basaltina, orientato in direzione est-sud-est, e delimitato da un sistema di raccolta e convogliamento delle acque realizzato in coppi in argilla. Sul settore nord, la stessa pavimentazione stradale prosegue allacciandosi all’antico Decumano Massimo della città etrusca che è stato rinvenuto al di sotto dell’attuale Corso Cavour; sono presenti anche strutture di crepidine del manto stradale, realizzate in blocchi di tufo in opera quadrata, e muri perimetrali di abitazioni aristocratiche, al cui interno sono visibili grandi piattaforme di tufo usate per il contenimento di acque in eccesso da pozzi-cisterna diffusi su tutta l’area. Di questi sistemi di raccolta, collocati sull’area centrale dello scavo, sono visibili i conci radiali che sostenevano la vera in terracotta, il rivestimento delle pareti, realizzato nella tipica tecnica etrusca del “coccio pesto”, e l’imposta ogivale di cunicoli, scavati nella nuda roccia, presenti sul fondo e che erano utilizzati come sistema di captazione della acque meteoriche che trasudavano dal litoide naturale. La varietà delle strutture di epoca etrusca testimonia un abitato organizzato e ben servito degno di una città capitale d’Etruria.

La fine del periodo Etrusco concomitante alla presa romana della città, risalente al 264 a.C., è ulteriormente testimoniato in S. Andrea dalla presenza di un acciottolato fitto di blocchi di tufo irregolari e tracce di sconvolgimento dei muri delle abitazioni, dovuti a crolli e collassi dei sistemi di copertura. A tale strato, ne segue un altro composto da semplice terra priva di reperti e strutture, identificato dagli archeologi come il risultato di una sequenza di agenti atmosferici privo di azioni antropiche che rappresenta la ben nota fase di abbandono della rupe di Orvieto durante il periodo romano, quando la nuova vita dei deportati Etruschi si svolgeva, oramai, sulle colline intorno al lago di Bolsena.

L’ultima fase culturale che tale sequenza stratigrafica rappresenta per determinare la complessa evoluzione della città sulla rupe, è forse la più nota dei contesti archeologici orvietani e quella più rappresentativa della nascita di una prima comunità cristiana sul cuore del pianoro. Al di sopra dei contesti Etruschi, ma con un orientamento completamente diversificato e rispondente alla nuova dottrina, nasce dalla maestria ravennate dei primi artefici Bizantini una prima basilica sede della prima entità diocesana della nuova città altomedievale, ricostruita intorno alla metà del VI sec. d.C. Sono visibili su tutta l’area le pavimentazioni mosaicate delineanti perfettamente le tre navate in cui era tripartita, ognuna con due gruppi musivi in funzione educativa e decorativa. La classica tecnica romana dell’opus sectile tessellatum è applicata agli ornati geometrici esaltati dalla bicromia delle tessere bianche, nere e perlacee, tra cui spiccano piccoli inserti in pasta vitrea policromi rossi e verdi. La carenza dei mosaici nella zona absidale della basilica è tuttavia compensata dalla presenza degli elementi architettonici del recinto presbiteriale, comprendenti plutei, parti del ciborio, colonnine ed archetti a tutto sesto, lesene, transenne e parti del paliotto dell’altare. Il materiale costruttivo di epocsotterranei-2-400a etrusca è completamente recuperato e visibile sia nella struttura absidale della basilica, come nei suoi muri perimetrali e nella superficie interna di quello che rimane dell’antica facciata, dove è leggibile ancora l’apertura principale con la collocazione dei cardini del portale.

Su tutta l’area sono presenti sepolture pavimentali ed a cassaforma, sarcofagi pluristratificati, situati all’esterno della zona absidale, che coprono un arco temporale che va dal VI sec. a.C. fino alla realizzazione della nuova Collegiata, la cui fase costruttiva, collocabile intorno all’anno Mille, ha obliterato completamente l’intera area.